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venerdì 14 marzo 2014

ecco cos'era

Ecco cos'era: lo stesso posto, la stessa finestra
ma senza il muro 
lo stesso balcone, la stessa luce, la stessa finestra,
ma senza casa
lo stesso campanile, l'albero piccolo,
l'albero grande in piedi lontano,
ma senza vento azzurro tra i capelli.
Tutto sveglio, reale, 
ma lasciato solo
un tempo indietro:
le nostri voci adesso
cadute dal balcone
destano scandalo 
al deserto

giovedì 13 febbraio 2014

materiali da Un cane due cani




Sono nel giusto Dugo, dammene atto.

Te ne do atto.

Dimmi che ho molta ragione.

Hai molta ragione.

Dimmi cosa faresti tu se fossi in me.

Non so.

Vedi. Nessuno mai che si sollevi a difendermi.

Vieni qui.

Sai cosa faccio?

No

Faccio un casino.

E cioè?

Chiamo i giornali e racconto tutto, li distruggo. Creerò un caso, ne parleranno tutti e dovrano rispondere delle loro malefatte davanti alla giustizia e davanti a dio.

Certamente. Vieni qui.

No.

Ce l’hai con me?

Dimmi cosa devo fare.



Rilassati.













Appena ti ho conosciuto eri solo alto, fumavi, avevi le clarks.

Anche adesso sei alto fumi e che hai le clarks. Ma prima era completamente diverso.

Eri solo quello, eri in quello e basta, e questo mi piaceva. Perché eri semplice. Ti si poteva disegnare come un fumetto.

E’ bello conoscere qualcuno e poterlo tratteggiare come un fumetto, ne cogli solo gli aspetti essenziali e del resto non ti occupi, non vai di chiaroscuro e di forme, solo di linee.

In forma di linea io mi sono innamorata veramente di te.



Caro Dugo, ti dirò ancora una cosa: quando una persona ti riguarda da vicino ormai non la vedi più, la sai e basta, la sai a memoria, con qualche piccola variazione s’intende, qualche piccola scoperta, ma perlopiù quel che si aggiunge e ruggine, sporco grasso, modi di russare, modi di ansimare, modi.







Un trauma non è necessariamente una cosa grossa. E’ anche una sfumatura, una cosa che si cancella, se ne va e non la trovi più. Un trauma non è necessariamente una cosa che tutti possano capire solo perché è accaduta. Una cosa accade, non perché è accaduta interessa a tutti.




Per il tuo compleanno ti ho regalato un paio di scarpe nuove che non sono clarks. Non so perché l’ho fatto, pensando di fare del bene, ho pensato che con il caldo dell’estate saresti stato più fresco con delle belle scarpe di tela. Se qualcuno ti conoscesse adesso ti vedrebbe alto, che fumi e guardi nella videocamera con le scarpe da ginnastica di tela.



Caro Dugo, non trovi anche tu che ipotizzare futuri migliori sia una cosa elettrizzante? Pensando alla nostra casa abbiamo comprato anche alcune cose.



Una piantina grassa, due cornici, un appendiabiti. Avremmo voluto comprare anche degli interruttori per la luce, di quelli in ceramica, pensando di sostituirli a quelli che normalmente si trovano nelle case, fatti di plastica, ma ci siamo detti: per oggi basta, non si può comprare tutto subito. Abbiamo immaginato la nostra casa nei minimi particolari.




Dato che abbiamo litigato stasera non c’eri. Ho aperto il freezer, dentro c'era la bottiglia di wodka che ci avevamo messo ieri perché si raffreddasse. Ho pensato: una delle poche cose ancora non contaminate. Ne avevo coscienza ma l'ho toccata lo stesso, ne ho versato un bicchiere e l'ho rimessa a posto. Tutto ciò che c’è, è un conto alla rovescia. Da quando ho messo piede in casa tutto ha cominciato a depennarsi. I passi segnano altri percorsi, si mangia, si parla, si ride. Si sopravvive.



Caro Dugo, vorrei che tu sapessi che tu esisti per me, ed esisti non solo nel mio presente ma anche nel mio passato. Ho lavorato a connettere tutti i passaggi in cui qualcosa nel passato non era che un segno, un presagio del tuo avvento nella mia vita. Ho riposizionato ogni cosa in funzione del tuo arrivo. Ed ora tutto funziona di nuovo perfettamente. Si è trattato di una manomissione consapevole ma presto rimossa. Adesso posso dire: senza di te la mia vita non avrebbe avuto senso. Non avrebbe avuto senso. Anche se prima aveva senso ugualmente, un senso in cui tu non eri compreso.










(...)

Così. Per cercare di essere razionale, ho pensato di scrivere su un diario tutti prezzi delle cose, per averli presente, nel caso dovessimo fare dei bilanci.

Gelato artigianale, con due palline, due euro. Con panna due e trenta.

cerotti salvelox: quattroeuroeventi.

panna da cucina dueeuro.

scarpe di marca, in saldo a metà prezzo.: duecentosedici euro.

ti ricordi quanto costava un gelato con due palline nel settantatre?

quanto guadagnava un insegnante di scuola media?

quanti gelati a due palline con panna guadagnava al mese?

Quanto guadagnava quanto guadagnava.



Ma chissenefrega quanto guadagnava.

lunedì 10 febbraio 2014

eterna impermanenza

C’è quella volta che era inciampato nella gamba del tavolo, e si era incazzato, perche’ un sgambetto da un tavolo e’ un epilogo troppo umiliante.
Quella volta che era entrato uno, gli aveva chiesto una birra e un whiskey; “Lo metti in questo bicchiere il whiskey? Mi fa schifo bere qui dentro” cosi’ diceva il tizio mentre lo spaccava per terra. Frank gli ha tirato la birra addosso.
Poi c’e’ quella volta che a 13 anni, un prato di brufoli e un NO stampato sulla fronte, era andato a dirle: “Emma, sei molto bella” “eh…”, come per dire, questa la so, vai avanti, “Posso…” “No!” aveva detto Emma. Che lui se l’aspettava gia’ prima il NO, già quando era uscito di casa, se l’era appiccicato in fronte.
Poi c’era quella volta che aveva deciso di stare con sua moglie per paura della vita con l’altra e quella volta che aveva deciso di stare con la sua amata per paura di una vita intera con sua moglie.
Poi c’era quella volta che sua madre l’ha guardato l’ultima volta. E quella volta della nostalgia dello sguardo severo di sua madre.
E poi c’e’ questa volta, in cui tutto quello che avrebbe dovuto esserci non e’ li’. Che anche un nemico gli fa comodo li’ sotto, una gamba del tavolo, un amore che lo cerca. Così, ebbro della relatività di una vita in cui non ha mai creduto, si lecca le dita, spegne la candela e fresco come una rosa, alle undici di un mattino, sereno, si addormenta.

mercoledì 22 gennaio 2014

Una padella che cade, qualcuno che impreca. Cadono delle posate, tante - nel mentre, la stessa voce che prima ha imprecato ora geme. Frank apre gli occhi, annusa l'aria che sa di uova e caffè. Sorride, si volta sulla schiena e si stiracchia.
- Ahhh, - fa, - che profumino... E bravo Gregorio!
- Io non ho fatto niente...
Frank si mette a sedere sul suo giaciglio - un pezzo di cerata bianca e lercia sulla terra battuta e umida - e aguzza gli occhi, poi se li stropiccia. Non riesce a vedere nell'angolo opposto della cantina.
- Ehi, - fa, - sei lì?
- No, - risponde la voce d'un uomo, nel buio pesto, - sono andato a farmi un giro.
Frank si alza, si massaggia la schiena dolorante, all'altezza delle reni.
- Pensavo fossi tu, di là... - dice.
- Non si vede niente...
- S'è preso il mozzicone di candela, - dice Gregorio.
Frank cammina - tentoni - verso la voce. Raggiunto un piccolo banco di legno, vi si appoggia coi gomiti.
- S'è preso... chi?
- Il cuoco, naturalmente, - risponde Gregorio. E aggiunge:
- L'hai fatto di nuovo...
Frank tace qualche secondo, si gratta la testa. Poi, sospira.
- Mi dai un pacchetto di Lucky morbide, per favore? - chiede.
Gregorio - seduto su uno sgabello, dietro il banco - allunga una mano, prende un pacchetto di sigarette e lo posa sul banco. Dalla stanza vicina giungono rumori di stoviglie, spadellamenti e il canto del cuoco:
- ... quanti pezzi di ricambio, quante meraviii - i - glieee... / quanti articoli di scambio, quante belle figlie da sposaar...
Frank accende una sigaretta. Inspira, espira. Poi, illumina il pacchetto con l'accendino.
- No, - dice, - son Marlboro...
Gregorio sbuffa, gli strappa dalle mani l'accendino e con quello illumina la parete che ha alle spalle. Per un attimo, appare un vasto assortimento di pacchetti di sigarette, sigari, tabacco da rollare e addirittura da pipa. Gregorio trova subito le Lucky vicino alle Marlboro, lascia spegnere la fiammella e allunga il pacchetto giusto a Frank. Intanto borbotta:
- Io non so perché tutte 'ste marche, se fumi solo Lucky morbide...
- ... e quante belle valvole e pistoni, - canta il cuoco, - fegati e polmoni, quante belle biglie a rotolar...
- Te l'ho detto, - dice Frank, - non padroneggio ancora appieno il processo... Mi dai l'accendino?
- No, non è che non lo padroneggi appieno, - rincara il tabaccaio, - non lo padroneggi affatto... Son lì, gli accendini...
- Dove?
- Ma lì, cazzo... Aspe... Ahia! Sta' fermo!
- Ok, scusa - dice Frank.
- Qua, sono qua... Ce n'è un pacco intero...
Frank rovista nel buio, poi il suo volto appare per un attimo, illuminato da una fiammella.
- ... Tu non fumi proprio, Gregorio?
- Eh, no, - dice il tabaccaio, - non fumo proprio. Nel senso che non fumo sul serio... Cos'è, devo iniziare? Ma che domande fai? Tu non fumi "proprio"? Non è che uno non fuma così così o fuma soltanto in parte...
- Macheppalle che sei stamattina! - sbotta Frank.
- No, cheppalle lo dico io! - gli risponde secco il tabaccaio. Poi:
- Cos'è 'sta roba? Chi sono io? E perché? Come mi chiamo?
- Gregorio, - dice Frank, - ieri hai scelto di chiamarti "Gregorio"...
- Cosa ci faccio con una tabaccheria in una cantina, - continua l'altro, - e un solo cliente, che è anche il mio... ho delle difficoltà a dirlo...
- E allora non dirlo, - lo interrompe Frank.
- ... e quante belle triglie nel maaaar! - conclude di là, per la terza volta, il cuoco.
- E come sai che è mattina? - chiede il tabaccaio a Frank.
- Occazzo, - risponde l'altro, - c'è odore di uova strapazzate e caffè, c'è qualcuno che canta in cucina, mi sono appena svegliato, è mattina, ok?
- E allora, - fa petulante il tabaccaio, - io sono in piedi da dodici ore, è buio pesto e mi girano i coglioni, quindi è sera, ok?
- Ah sì? - risponde Frank, iniziando a petulare pure lui, - E come fai a sapere che "sei in piedi" da dodici ore?
Per tutta risposta, il tabaccaio strappa di nuovo dalle mani di Frank l'accendino. Si alza dal suo sgabello e illumina - sul muro di mattoni a vista, nerastri di polvere - un orologio da parete che segna le 9.
- Vedi? - fa, - sono le 9 di sera!
Poi, torna a sedersi e sbatte l'accendino sul banco.
- Il tabaccaio è chiuso, caro mio!
- Secondo me, - dice Frank, - sono le 9 di mattina...
Gregorio, nel buio, emette un gemito di rabbia impotente. Appoggia i gomiti sul banco e si mette le mani nei capelli. Poi, si tira su e prende a fissare il buio di fronte a sé.
- Senti, - dice Frank, mettendogli una mano sul braccio, - mi dispiace di averti... tirato in mezzo a questa cosa... Davvero, io non l'ho fatto apposta...
- Perché sono qui? - chiede Gregorio.
- ... Non lo so... Ma sto cercando di rimediare... Hai visto? Tu hai giustamente fatto notare, ieri, quando sei... apparso, che qui saremmo morti di fame e... senti il profumino? Tra poco, mangiamo! Non sei contento?
- No che non lo sono! E vuoi sapere perché?
- Certo, Gregorio!
- Perché sono nato all'età di 45 anni soltanto per portare le sigarette a un coglione che è rimasto murato in cantina... Un tabagista imbecille, il cui primo pensiero - quando il terremoto l'ha sepolto vivo - è stato: "Oh, mio dio, sono senza sigarette!" E allora che fa? Materializza - non si sa come - non un pacchetto o venti stecche di sigarette... No! Un tabaccaio! Un tabaccaio, cristo santo!
- Hai ragione, - dice Frank, - hai perfettamente ragione. Sarebbe stato molto meglio materializzare soltanto delle sigarette, ne abbiamo già parlato ieri... Ma evidentemente, e il cuoco di là lo dimostra, non sono capace o non funziona così...
- Sei un coglione, - dice il tabaccaio, liberando il braccio.
- Vero, - fa subito Frank, - verissimo.
- E' proontooo, - grida il cuoco, di là.
Gregorio e Frank si avviano verso l'altra cantina. Camminano piano, strascicando i piedi e cercando di toccare gli ostacoli con le mani prima che con la faccia.
- Adesso c'è anche quell'altro, di là... - brontola il tabaccaio.
- Ora mangiamo, - dice Frank, - poi vediamo...
- E mica il cuoco, ha materializzato per primo... No!
- Vabé, ma è inutile star lì...
- Il tabaccaio! Coglione...
- Uffa, - fa Frank, - se avessi tirato dentro prima un cuoco, tu saresti comunque arrivato oggi... Cambia poco...
Nel corridoio che unisce le due cantine, i due procedono un po' più alla svelta - perché possono dirigersi verso il tremolante bagliore che esce da una porta senza battenti.
- E chennesai che non cambia? Sono un io generico o un io... individuato?
- ... Senti, a pancia vuota, io non riesco proprio...
- Vuoi fumarti una sigaretta, così magari ti schiarisci la mente?
- Grazie, ma ho appena spen...
- Magari, oggi avresti materializzato un altro tabaccaio e avresti lasciato in pace me!
- Forse...
- Non sai un cazzo, non sai!
Finalmente, entrano nell'altra cantina. Su un piccolo tavolo, il mozzicone di candela piantato in una bottiglia illumina un gran numero di portate: uova strapazzate, salsicce, fette di prosciutto cotto e intiepidito, formaggio, pane caldo, crepes, pancake, un' aringa affumicata, yogurt, miele, melata, succo d'acero, muesli, frutta secca e fresca, un tacchino intero, croissants e saccottini al cioccolato.
- La colazione è servita, - dice il cuoco. Girato di spalle, è ancora lì che spreme le arance.

perfette (I)


amanda stava seduta sul letto a cincischiarsi un dito del piede, 

mentre luis stava in piedi,guardava amanda.

poi amanda disse, dimmi una cosa luis,

e luis disse piano , sii?

te ne importa così tanto?

e luis disse ancora piano, noo, amanda si può fare altro se preferisci

e amanda si tirò su i capelli disse, facciamo delle foto?

se vuoi,se è questo che vuoi.

non è questo che voglio, disse amanda, è questo che ho voglia di fare ora, tutto qua.

la macchina fotografica era sul tavolo, luis la prese e cominciò a scattare.

si mise accanto alla finestra.

così no, disse luis, non possiamo farle.

perché? chiese amanda

perché la luce entra troppo nell'immagine non ti si vede.

scatta così, disse amanda, la luce.

amanda si mise davanti alla finestra mentre luis le faceva altre foto. non si spostava mai, non si metteva in posa, stava semplicemente davanti alla finestra come un manichino col pensiero lontano ad ascoltare gli scatti.

luis continuava a scattare, senza muovere la camera, senza cercare inquadrature: scattava foto alla luce con amanda.

ti ricordi? disse amanda, le foto che mi hai fatto allo zoo?

sì, disse luis,certo che me le ricordo.

la pellicola si era sganciata.

me le ricordo perfettamente quelle foto, disse luis, eri appoggiata alla palizzata di legno,davanti ai cervi, faceva freddo, tu avevi la giacca a vento blu con la lampo gialla,

avevi i capelli che si spostavano con il vento e sorridevi,

eri bella, disse luis.

mi ricordo quelle fotografie,disse amanda.

non ti muovevi, disse luis.

cercavo di non muovermi, disse amanda, volevo che il tempo si fermasse lì.

le foto erano perfette, disse luis.

perfette, disse amanda.

Senza armonia e senza ruote (vd)



L'altro giorno dopo aver visto i quadri di w ho pensato che i pittori non hanno nessun bisogno di chiudere nella tela un'intera storia; nessuno si aspetta che lo facciano.La storia non c'è. Un quadro è la storia di chi ha visitato un luogo e l'ha riposizionato. I pittori hanno la libertà di non considerare il tempo, ci si devono solo sedere dentro. L' oggetto dipinto non si muove, non deve. Ha il dovere e il compito di restare fermo, anzi. Il tempo gli sta intorno,lo aggira. Dal momento in cui il quadro è finito, la sua storia si ferma. Tutto il tempo si consuma nel cercare di fermare qualcosa che naturalmente si muoverebbe. Al contrario della fotografia, forse, il viaggio, il movimento nel tempo, arrivano da dentro. La fotografia è l'istante, quell'istante il più preciso possibile, l'istante in cui il fotografo ha scattato. Il quadro è la fine. Il quadro è il risultato del viaggio dell'immagine nel paesaggio interiore dell'artista. Si potrebbe dire che ne è la traccia, l'impressione del suo paesaggio interiore (una crocefissione) illuminata dalla luce e fermata su tela.



Penso questo.

che quello che sento io, questa specie di impedimento a scrivere di qualcosa che non sono io nel momento in cui scrivo, questo incepparsi continuo di ogni tentativo di strutturare qualcosa che si muova con continuità fluttuante, allegra, all'interno di un tempo dato, il tempo della pagina, questa repulsione alla struttura, stia nel fatto che mi sento più vicina ad altro, anche se non so dipingere,perché non so collocare le cose in rapporto tra loro nel tempo ma neanche nello spazio. Non trovo relazioni causali tra le cose, né spaziali né temporali.

Sono definitivamente fottuta in questo limbo rapido di processi che non so cogliere. o forse non voglio. Non mi interessano. Anche nei romanzi, non mi interesso al romanzo, cerco l'autore disperatamente. se non lo trovo, arranco, dopo un po' perdo terreno e mi arrendo alla noia.

E' così che sono. Elementare. faccio solo delle connessioni elementari, il più delle volte legate a quello che la mia esperienza è in grado di cogliere e di salvare.



x dice che non mi fido delle parole, vero. Per la maggior parte del tempo, quando le cose si complicano, propenderei per il silenzio. Non ho parole per quello che succede perché non ho risposte sicure dentro di me. non ho un sistema forte di paragone interiore, qualcosa cui accostare la mano per dire: più o meno così.

Non ho equivalenze.

Ho parole solo per pochi momenti minuti.



Lo spazio tra i momenti non è che non esista.

Esiste, non lo nego.

Semplicemente non riesco ad esprimerlo.





Poi non mi piace scrivere per qualcosa.

Non scrivo per arrivare a capire meglio le cose. Non credo nelle parole, come dice x.

Infatti è lui che trova le parole per quello che succede.

Io scrivo per salvare il tempo da se stesso.

Gli trovo un punto più elevato possibile, perché non sia travolto dall'altro tempo che gli scorre subito sopra.



Non è un lavoro socialmente utile,

me ne rendo conto.



Le nuvole prendono una sembianza, a volte si ha voglia di dire di quella sembianza,

di dispiegarla.




Oggi ho trovato uno di quei profumi che sono la riproduzione di profumi famosi.

Non so se ne siano davvero la riproduzione, ma costano tre euro e cinquanta contro cento.

i profumi mi tirano molto su il morale.

quando posso vado a sniffare direttamente nelle profumerie. Ma a volte ho voglia di una profumo preciso, mi sforzo di immaginarlo bene, com'è. com'è? ecco, mi dico, ho bisogno di respirare esattamente questo profumo, che però non so se esiste o no.



Mi compravo un profumino, mi inebriavo della sua volgarità non pretenziosa, è una specie di tavernello dell'olfatto.

Se c'è una cosa di cui sono sicura è che la mia vita non è una storia e non può essere raccontata come una storia.

Magari altre vite sì, chi dice niente. non c'è niente di male ad avere una vita che è una storia, con una parabola o anche più di una.



Ma la mia no. non va né in alto né in basso né a destra né a sinistra. E' probabilistica.Senza armonia. Senza ruote.

lunedì 20 gennaio 2014

la storia di Frankie

un giorno dice Frankie ho pensato, il mondo era fuori e io pensavo che quel mondo si poteva vedere in modo diverso, un modo il più semplice era non vedere. Così ho deciso di murarmi vivo nell'Accademia di Belle Arti. Era per me un luogo inospitale e mi ci ero autorecluso costruendomi un muro circolare. Qua e là ci sono delle feritoie da cui si vede un occhio, un braccio o un martello, l'idea era di fare da là dentro il ritratto di qualcuno fuori dal muro. Era sicuramente un progetto folle. Il ritratto era immaginario e in parte si materializzava attraverso le parole di chi mi descriveva quali persone dovevo ritrarre.
Esperienza dolorosa, ho fatto esperienza di qualcosa che si potrebbe chiamare "essere separato" e però ho capito che è comunque possibile fare un ritratto.

Altri appunti puntualmente

Frank Piffero ha gli occhi chiusi, dorme, così ci sembra. Il suo corpo lungo è disteso, la testa poggiata contro una scatola di cartone. Lo osserviamo per dieci minuti, che passano in un minuto.
Poi Frank prende la sigaretta che tiene nella mano e si fa un tiro. Guarda la stanza e pensa al paio di scarpe comprato da poco e ai soldi.
Frank sta costruendo un uomo di cartone, si è procurato dell'inchiostro nero bruciando della carta e gli fa gli occhi. Lo gurada, l'essere di carta
chi sei tu?

Gli occhi disegnati su un pezzo di cartone, due occhi spalancati
vicino ci sono gli occhi chiusi di Frank
entrambi sono distesi, poggiati contro un cartone di rhum.
Frank, dopo secondi buoni, avvicina la mano alla bocca e si fa un tiro.
Poi sempre ad occhi chiusi dice all'ometto di cartone suo compagno: vedi, mio figlio ti somiglia
è alto come te, quest'anno correrà i 100 metri, tu lo conosci? No? Strano

dagli appunti della prima serata di induzione alla sceneggiatura autoimmune

A Umberto una lo ha fermato per strada, gli ha detto: ma tu sei un attore famoso, io ti conosco, e allora Umberto gli ha detto che sì, era un attore famoso, ma non sapeva chi era.
Poi la tipa gli ha chiesto un autografo, e lui non sapeva ancora di più chi era. Ha detto: sì, te lo faccio l'autografo, ma poi per uscire dall'inconvenienza ha detto: te lo faccio solo se mi dimostri chi sono. E la tipa gli ha detto: tu sei lu kaword, e lui allora ha scritto sul foglio: con tanto affetto, Lu kaword, che era lui, che era Umberto.

sabato 18 gennaio 2014

uncaneduecani 2

Punto di vista


Facciamo un esempio. Un combattimento tra galli. C'è il punto di vista dei galli, gallo uno, gallo due. Quello che sta vincendo pensa tutta la situazione a mio favore. Poi c'è il punto di vista di chi guarda i galli.Di chi ha scommesso sul gallo, di quanto ha scommesso. Poi c'è il punto di vista delle galline. Poi c'è il punto di vista di chi perde, di quanto gli costa perdere. Poi il punto di vista di chi vince, di quanto guadagno gli porterà quella vittoria singola e di quante vittorie gli servono per vincere di nuovo. Poi c'è il punto di vista dei curiosi, che sono lì solo per guardare, e non scommettono niente. Poi c'è il punto di vista dei galli, che devono ancora combattere, di quelli che hanno già combattuto, e hanno perso, di quelli che non combatteranno mai, perché forse sono troppo deboli, o troppo vecchi o malati dalla nascita, il combattimento non fa per loro. Poi c'è il punto di vista dei pulcini appena nati, di quelli che destinati a diventare galli, o galline, o polli arrosto esposti nelle vetrine calde, fumanti , del pollo allo spiedo. Poi c'è il punto di vista di chi non è previsto, è seduto dal barbiere o sfoglia il giornale, sale o scende le scale, si beve un caffè, smazza le carte, si gratta il pacco, o semplicemente non c'è, è da un'altra parte, si alza,si siede, non visto, non vede.

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Giochiamo che tu eri sparito e anch'io, che non eravamo da nessuna parte e nessuno si ricordava più, che non ti faceva male niente, perché tu non c'eri, che non mi faceva male niente perché io non c'ero, davvero.